Il mio articolo per il mensile Vita Pastorale, sull’incontro sul Mediterraneo che la Cei organizza per il prossimo febbraio.
Albert Camus, il celebre scrittore francese nato in Algeria, premio Nobel per la letteratura, ha pubblicato nel 1947 un romanzo che mantieneuna grande attualità. In La Peste, racconta la storia degli abitanti di Oran durante un’epidemia che ha colpito la città algerina, situata sulle rive del Mediterraneo. La storia, ambientata negli anni ’40, è centrata intorno al personaggio di Bernard Rieux, un medico sensibile e umanista che combatte contro la peste, un’epidemia che potrebbe essere considerata una metafora della “peste marrone”, il nazismo. Mentre all’inizio del ventunesimo secolo assistiamo alla minaccia una nuova “peste”, quella del ripiegamento su se stessi e del rifiuto dell’altro, la beatificazione dei diciannove martiri d’Algeria, fra cui i sette monaci di Tibhirine, celebrata a Oran l’8 dicembre 2018, ha tracciato “un grande segno di fraternità per il mondo intero”, secondo l’espressione di Papa Francesco. La testimonianza di Fratel Luc, ad esempio, medico del monastero dell’Atlante, incarna da solo tutti i Bernard Rieux – credenti o meno – che resistono all’intolleranza e manifestano la loro compassione verso chi soffre. In che modo l’esperienza dei beati martiri d’Algeria può ispirare per noidei gesti di solidarietà portatori di speranza per fare del Mediterraneo “il grande lago di Tiberiade” sognato da Giorgio La Pira? Dalla pace nel Mediterraneo, come ben sappiamo, dipende la pace in Europa.
I martiri d’Algeria, quelli di Tibhirine in particolare, avevano giurato di non abbandonare una popolazione in preda alla violenza di una terribile guerra civile; sono mortiin condizioni misteriose, probabilmente legate al fatto che volevano rimanere fedeli ai loro amici, senza schierarsi con una delle parti. Le zone d’ombra che circondano i loro omicidi suggeriscono che quei crimini non hanno nulla a che fare con l’Islam. In ogni caso, non si trattava di una persecuzione contro i cristiani: sono mortianche 114 imam e circa 150.000 musulmani sono stati uccisi durante il “decennio nero” degli anni ’90. Un simbolo forte: sull’icona della beatificazione dei diciannove testimoni è raffigurato anche Mohamed Bouchiki, il giovane algerino ucciso insieme al vescovo di Oran, Pierre Claverie. In questo modo, il sangue dei cristiani e il sangue dei musulmani si è storicamente mescolato; esiste quindi una fratellanza interreligiosa, islamo-cristiana, del sangue. Sotto la spinta di uno slancio di riconciliazione, l’Algeria ha avuto un ruolo decisivo nella decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite –la Risoluzione 72/130 votata l’8 dicembre 2017 – di proclamare una “Giornata della convivenza nella pace”, da celebrarsi ogni anno il 16 maggio in tutto il mondo. Il Santo Padre aveva profeticamente espresso il desiderio che questa prima beatificazione in un Paese musulmano “creasse una nuova dinamica dell’incontro”. Il segno di Oran è certamente da considerarsi un appello a non lasciar andare la mano della persona in difficoltà che cammina con noi, qualunque sia la sua religione o il colore della suapelle.
Mentre l’Europa si sta richiudendo “democraticamente” nella sua zona di conforto, assomigliando sempre più ad un ospizio di lusso, questi martiri ci offrono la chiave per una Chiesa in dialogo, in grado di costruire ponti al servizio della fratellanza universale. È importante che ricalchiamo i passi di quei testimoni abitati da una parola non violenta e da un amore disarmato. Canonizzando i martiri di Otranto, in Piazza San Pietro, nel maggio 2013, proprio all’inizio del suo pontificato, Francesco non ci ha forse già indicato la via di una testimonianza cristiana radicale sulle rive del Mediterraneo? Quegli 813 cattolici trucidati nell’Italia orientale alla fine del XV secolo rifiutarono di abiurare la loro fede cristiana. Spetta a noi oggi non rinnegare questa fede onorando “la carne di Cristo”, come dice il Papa, accogliendo e integrando anche i “martiri del Mediterraneo” in fuga dalla miseria e dalla guerra. Affrontando ogni giorno il dramma dei migranti che transitano attraverso l’orrore dei campi profughi in Libia, immergendosi nell’inferno delle onde con le donne e i bambini, quali scelte compiamo noi per combattere l’intolleranza e l’indifferenza? Martiri delle armi che i paesi occidentali vendono ai loro paesi, martiri delle dittature messe in piedi da quegli stessi paesi per sfruttare le loro terre e saccheggiare le loro risorse, ci lanciano un grido: “Non rinnegate Cristo!”. Meglio rimanere incompresi – anche dai propri concittadini – piuttosto che perdere la propria anima, e meglio perdere le elezioni che la propria coscienza!
François Vayne