Con una santa «furbizia», si fa rotta su Betlemme

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A Roma i tradizionali “Zampognari” – uomini vestiti da pastori – suonavano la cornamusa nelle strade, mentre i bambini correvano appresso alla Befana, questa dolce “mamma Natale” tipicamente italiana che si dice porti loro doni in memoria della visita dei Magi a Betlemme. L’Epifania, giorno festivo nel Paese di Dante dove la laicità non è intollerante, riveste un carattere di festa inimmaginabile in Francia dove un totalitarismo cristianofobico tenta di imporsi anche con la forza. Da 2000 anni a tremare sono gli stessi e per le stesse ragioni, eredi di quell’Erode definito «un misero fantoccio» da Francesco questo lunedì 6 gennaio in piazza san Pietro. «Tutto un mondo edificato sulla dominio, sul successo e sull’avere, sulla corruzione, viene messo in crisi da un Bambino!», ha commentato davanti ad una folla immensa che nessun «signor presidente» riuscirebbe a radunare spontaneamente. Questo papa in nove mesi ha già riunito quasi 7 milioni di persone nel corso delle udienze generali. La vigilia, domenica, aveva ufficialmente annunciato all’Angelus il suo prossimo «pellegrinaggio di preghiera» in Terra Santa, dal 24 al 26 maggio, «a Dio piacendo». Nel nostro cammino di fede e di luce, è un orizzonte di grande speranza che così si apre nuovamente. Dopo l’Anno della Fede che abbiamo appena vissuto con intensità, volgere maggiormente i nostri sguardi ai luoghi santi mi sembra provvidenziale al fine di ritornare ancor di più a Cristo, al Vangelo, con il desiderio «che tutti siano uno», per realizzare il testamento di Gesù (Gv, 17,21). Questo blog che ho aperto l’11 febbraio scorso è d’altronde orientato proprio verso Gerusalemme, come testimonia la foto che fa da banner in home page, la città «unita e compatta» (Salmo 121).
«Gerusalemme è chiamata ad essere la città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a camminare sulle sue vie. È la vocazione e la missione del Popolo di Dio nel mondo. Però Gerusalemme può venire meno a questa chiamata» ha fatto notare Francesco nella sua bella omelia dell’Epifania. «Il Vangelo ci racconta che i Magi, quando giunsero a Gerusalemme, persero di vista la stella. Non la vedevano più. In particolare, la sua luce è assente nel palazzo del re Erode: questa dimora è tenebrosa…vi regnano la diffidenza, la paura e la gelosia», ha aggiunto, lasciandoci liberamente pensare ad altri «palazzi» attuali, compresi quelli vescovili, oscurati dalla «mondanità». Sentono «scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze», ha sottolineato ancora Francesco…Il Papa ci ha invitati allora ad adottare una santa «furbizia», al seguito dei Magi che hanno scoperto il bambino di Betlemme, soprattutto per non ripassare dal palazzo di Erode e prendere «un’altra strada», «al di là dell’oscurità».
Sulle parole del papa in questo inizio d’anno 2014 ci è dato di «alzare gli occhi verso la stella» con i nostri saggi compagni di viaggio che sono i Magi, di «seguire i grandi desideri del nostro cuore», di «non accontentarci di una vita mediocre», «di piccolo cabotaggio», ma di «lasciarci sempre affascinare da ciò che è buono, vero, bello», da Dio che fa il primo passo verso di noi e si manifesta nel volto di un Bambino, nella « semplicità di una casa di periferia dove risplende il Sole sorto dall’alto».

Chi saranno i prossimi ad essere creati cardinali?

Questo ritorno alle radici della fede è stato illustrato da Francesco nel pomeriggio dello stesso lunedì, durante la visita alla parrocchia romana di S. Alfonso de Liguori, dove è stato presentato un presepe vivente con oltre 200 figuranti. La foto che lo ritrae con un agnello sulle spalle ha fatto il giro del mondo tramite i social network, e rimarrà probabilmente quella che meglio illustra il pontificato di un papa che chiede ai sacerdoti di essere dei pastori che hanno «l’odore delle pecore». Mercoledì l’Osservatore Romano ha messo in prima pagina questo scatto unico, simbolo di una rivoluzione evangelica che è dolcemente ma risolutamente all’opera. Il titolo ecclesiastico onorifico di «Monsignore» è stato abolito per i sacerdoti diocesani come riconoscimento del loro servizio, e sostituito con quello di «canonico di sua Santità», in linea con la volontà di semplificazione un tempo espressa da Paolo VI nello spirito del Concilio Vaticano II. Questi primi segnali forti sono accompagnati da decisioni di governance, poiché Francesco sta rimuovendo poco a poco dalle posizioni di responsabilità coloro che hanno scandalosamente reso gli orpelli liturgici un assoluto a scapito del servizio ai poveri, la loro missione primaria, impedendo loro così di dettare nomine di vescovi ambiziosi dal cuore duro.
Molti si interrogano sui nomi dei primi cardinali che saranno creati nel concistoro previsto per il 22 febbraio. Saranno senza dubbio una quindicina, tra cui forse un teologo della liberazione, il peruviano Gustavo Gutierrez. Le voci si rincorrono, ed alimentano inutilmente le chiacchiere. Ciò che invece è certo è che il vescovo di Roma prepara l’accesso alle posizioni di comando a dei collaboratori capaci di perfezionare la sua azione, sul lungo termine, in una prospettiva ecumenica e di dialogo interreligioso.

Un papa coraggioso, sorprendente e libero…

«La figura di Francesco va oltre la Chiesa Cattolica», nota un suo amico, il rabbino Abraham Skorka di Buenos Aires, che spera che il suo viaggio in Terra Santa rafforzerà la volontà di riavvicinamento dei leader delle tre religioni monoteiste, affinché trascinino a propria volta i fedeli al loro seguito in un movimento di fraternità fondato sul rispetto. Sono previste tre tappe: Amman, Betlemme e Gerusalemme. Cinquant’anni dopo la storica visita di Paolo VI nei luoghi santi, che ha inaugurato il ciclo dei grandi viaggi papali fuori dall’Italia, Francesco incontrerà il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, per una preghiera ecumenica al Santo Sepolcro. Il patriarca Atenagora e papa Montini avevano posto le basi di questa grande riconciliazione tra cattolici e ortodossi nel 1964, dopo dieci secoli di anatemi in seguito allo scisma del 1054. Essendo il papa stato invitato sia dal re di Giordania Mahmoud Abbas e che dal presidente Peres, nei tre giorni del suo viaggio potrà così onorare allo stesso tempo la Giordania, i Territori palestinesi e Israele, nella dinamica di un fragile ma perseverante processo di pace. «Il puzzle si sta ricomponendo», assicura il segretario di Stato americano John Kerry, che patrocina le negoziazioni israelo-palestinesi riprese a luglio per nove mesi. Non c’è un minuto da perdere perché il fallimento provocherebbe una fiammata di violenza da una parte all’altra, probabilmente incontrollabile. Il papa, coraggioso, sorprendente, e libero, non mancherà di porre il suo tassello a questo mosaico, secondo la sua logica ultraterrena manifestata lo scorso 7 settembre durante la giornata di digiuno e di preghiera proclamata in seguito al suo appello per la pace in Siria. Il Natale ortodosso, questo 7 gennaio, per buona parte dell’Oriente cristiano che segue il calendario giuliano risalente a Giulio Cesare – riformato di una decina di giorni da papa Gregorio XIII nel 1582 – è stato l’occasione per un nuovo scambio di auguri tra Roma e Mosca, unite per la difesa dei valori cristiani, la salvaguardia della fede, nel momento in cui un «ecumenismo del sangue» unisce cattolici e ortodossi in tutto il Medioriente.

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