Intervista con il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, membro del Consiglio per il Sinodo dei Vescovi
A cura di François Vayne
Eminenza, il progetto del Sinodo dei Vescovi sul tema della sinodalità non è ancora ben compreso da tutti. Cosa vuole realizzare esattamente Papa Francesco con questa iniziativa, che interesserà tutte le diocesi del mondo prima dell’assemblea dei vescovi a Roma nel 2023?
Prima di tutto, ricordiamoci che San Paolo VI ha avuto l’idea di istituire il Sinodo dei Vescovi nel 1965, affinché le grandi intuizioni del Concilio Vaticano II potessero essere progressivamente integrate nella vita concreta della Chiesa universale. Il Concilio di Trento ha impiegato duecento anni per diventare una realtà in ogni diocesi. Il Sinodo dei Vescovi, così come lo abbiamo vissuto negli ultimi cinquant’anni –un’assemblea ogni tre anni a Roma – è un modo per approfondire gradualmente gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, che è durato cinque anni. Sei anni fa, nel 2015, quando si celebrava il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo, il Papa ha pronunciato un discorso molto importante sulla sinodalità, partendo dall’etimologia della parola ‘sinodo’, che in greco significa “camminare insieme”. Francesco si è soffermato a lungo su questa immagine conciliare di un popolo che cammina insieme, dove i pastori camminano davanti, in mezzo o dietro al gregge, ma sempre insieme al gregge. Le tre parole chiave che il Papa ha suggerito al Consiglio del Sinodo in questi giorni sono partecipazione, comunione e missione. Fondamentalmente, si tratta di incoraggiare la partecipazione di tutti i battezzati alla vita della Chiesa e alla sua missione.
Sembra ideale quando ne parla, ma molto astratto; un Sinodo sulla sinodalità non è un po’ come un gatto che si morde la coda?
Il Papa ci dice che il Sinodo non è semplicemente un metodo, una strategia da perseguire in vista di un obiettivo comune. La sinodalità è molto di più, non ha come finalità questioni di organizzazione pastorale o di impegno sociale, è prima di tutto l’esperienza dello Spirito Santo che ci viene proposta, come nel Nuovo Testamento, specialmente negli Atti degli Apostoli. Tutti sono invitati a sperimentare, in questo grande momento ecclesiale, l’ascolto reciproco, l’incontro, nel soffio dello Spirito Santo, per meglio discernere ciò che Dio ci chiede oggi. I nostri impegni, la nostra missione, la nostra prassi ecclesiale e il nostro sguardo sulle situazioni saranno sottoposti a una revisione alla luce delle ispirazioni dello Spirito Santo, che un ascolto esplicito e attento ci permetterà di accogliere. Francesco insiste costantemente sulla preghiera che ci dà, in un certo senso, l’organo interiore necessario per ricevere queste mozioni dello Spirito Santo, queste inclinazioni di cui parlano tutti i grandi maestri della vita spirituale. Non è così astratto come sembra, rappresenta una fase storica importante per la Chiesa come quella del Concilio Vaticano II, ma con una dimensione comunitaria e universale, una forma di scuola evangelica globale aperta a tutti.
Come fare in modo che l’esperienza diocesana del Sinodo, che precederà in ogni parte del mondo quella del Sinodo romano del 2023, non sia come quella di un parlamento in cui si contrappongono opinioni e richieste di categoria che portano a grandi dichiarazioni non seguite da effetti pratici?
L’ascolto sarà al cuore di questo cammino sinodale mondiale, un ascolto accogliente e gratuito, disinteressato, un ascolto non orientato in prima istanza verso conclusioni o risoluzioni pratiche. L’ascolto porta alla consolazione, che è un dono dello Spirito Santo, dell’ordine della guarigione interiore. L’azione non è dunque la finalità del Sinodo, quanto piuttosto un invito a incontrarsi, a vivere un discernimento comune durante quelli che assomiglieranno a degli esercizi spirituali ignaziani su scala internazionale, in tutte le diocesi, in tutti i continenti.
Qual è l’agenda di queste diverse tappe sinodali?
Molte persone hanno chiesto recentemente al Santo Padre che la fase diocesana del Sinodo duri almeno un anno, e penso che sarà così. I vescovi che poi parteciperanno al Sinodo di Roma, tra due anni, condivideranno le parole ascoltate e scambiate nelle diocesi, affinché l’esperienza degli Atti degli Apostoli continui, nell’ascolto di ciò che lo Spirito Santo vuole dirci qui ed ora. Dobbiamo leggere e rileggere gli Atti degli Apostoli. Come ci ha incoraggiato a fare Benedetto XVI quando è venuto in Austria, al santuario di Mariazell, nel 2007, dobbiamo continuare a scrivere gli Atti degli Apostoli. Questa è la missione.
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Un grande (incontrato) a messa in cattedrale a vienna 23 anni fa