Questi tre giorni del papa in Terra Santa rilanciano la speranza di un dialogo rinnovato tra il governo israeliano e palestinese, in un momento in ci il processo di pace era in una fase di stallo. Francesco ha saputo compiere gesti forti che sia da una parte che dall’altra gli danno un’immensa credibilità. Domenica ha sorpreso il mondo intero facendo fermare la sua auto davanti al Muro che separa tragicamente Israele dai Territori palestinesi da una decina d’anni. E’ senza dubbio la foto di questo grande momento che rimarrà negli annali, sul piano diplomatico, insieme a quella dell’incontro ecumenico al Santo Sepolcro, scopo del suo viaggio, dove il patriarca ortodosso Bartolomeo e il capo della Chiesa cattolica hanno manifestato la loro volontà profetica di unità, conformemente a ciò che Paolo VI e Atenagora avevano iniziato cinquant’anni fa a Gerusalemme, mettendo fine a mille anni di anatemi.Lunedì, prima di rientrare a Roma, Francesco si è recato come i suoi due predecessori al muro del pianto per onorare il popolo ebraico terribilmente perseguitato lungo il corso della storia, e ha reso omaggio alle vittime del genocidio nazista allo Yad Vashem. Salutando alcuni sopravvissuti, li ha ascoltati con un’attenzione devota, stringendo loro umilmente le mani in segno di compassione e profondo rispetto. Anche solo un piccolo segno di reciprocità nei suoi riguardi sarebbe stato il benvenuto, ma servirà probabilmente ancora del tempo per sanare la memoria. «Mai più, Signore, mai più!», ha dichiarato con forza il Santo Padre, in una toccante preghiera in italiano. «Eccoci, Signore, con la vergogna che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi, Signore, nella tua misericordia», ha aggiunto. Il suo incontro con il presidente israeliano Shimon Peres è stato poi più che cordiale, in contrasto con l’atteggiamento relativamente freddo del Primo ministro, Benyamin Netanyahou, che si dice fosse stato furioso per il gesto audace compiuto dal papa al Muro di separazione. Il governo israeliano ha peraltro autorizzato, a partire da lunedì mattina, la costruzione di cinquanta nuovi alloggi nella colonia di Har Homa, tra Gerusalemme Est e Betlemme, quasi a sottolineare l’irreversibilità della sua politica di espansione in zona palestinese. Il tempo per trovare una soluzione stringe, Shimon Peres – che avrà un successore il 17 o 18 giugno – ha quindi rapidamente accettato l’invito del papa ad andare a pregare con lui in Vaticano e il presidente palestinese Mahmoud Abbas, per un incontro all’ultima spiaggia? Fonti ecclesiastiche ben informate parlano del 8 giugno per questo incontro storico, a dimensione spirituale, che dovrebbe quindi aver luogo tra solo dieci giorni. Questo invito ha destato stupore a Betlemme, domenica, durante la messa in cui il presidente Abbas era presente, avendo Francesco deciso di fare questo annuncio in terra araba tra i cristiani palestinesi venuti da tutta la Terra Santa, in particolare da Gaza e dalla Galilea. «Lo spirito di Assisi», in riferimento al grande incontro di preghiera delle religioni per la pace il 27 ottobre 1986, continua a soffiare con papa Francesco, assumendo una dimensione geopolitica legata al contesto di urgenza che caratterizza il Medioriente. La buona volontà di Francesco deve però armarsi di pazienza, come quando il muezzin di Betlemme ha intonato negli altoparlanti il suo appello alla preghiera proprio nel momento della benedizione pontificale, coprendo la voce del papa e sollevando fischi di collera dalla folla… Stessa ridicola resistenza alla sua azione tra gli ortodossi, che non apprezzano tutti che il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli accetti di lavorare all’unità con i cattolici. I monaci greci non hanno applaudito domenica sera al Santo Sepolcro, quando i due capi delle Chiese d’Oriente e Occidente si sono abbracciati con emozione e tenerezza. Rivaleggiano in una tenerezza tutta mariana l’uno con l’altro, segno evidente della presenza dello Spirito Santo in quest’assenza totale di volontà di potenza dove solo l’amore comandava. Bartolomeo ha sostenuto il papa, che soffre di artrosi alle ginocchia, durante i pochi passi che hanno fatto insieme per entrare nella grotta dove Cristo è stato deposto dopo la crocifissione, e da dove è riemerso vivente. «Ciascuno di noi è risorto dopo il battesimo, per camminare verso una vita nuova», ha notato Francesco nel suo discorso, desideroso che i cristiani siano «uomini e donne della risurrezione», e che vivano«nella luce del mattino di Pasqua». Ritorno rimescolato interiormente da questo viaggio in Terra Santa, con la convinzione che, nella stessa maniera in cui la pietra del sepolcro si è mossa, la pace si farà sulla terra tanto amata da Dio, e l’unità dei cristiani sarà il miracolo di cui la nostra generazione potrà essere testimone. «Rispettiamoci e amiamoci gli uni gli altri come fratelli e sorelle! Impariamo a comprendere il dolore dell’altro! Che nessuno strumentalizzi la violenza nel nome di Dio! Lavoriamo insieme per la giustizia e per la pace!», ha ripetuto il papa ai responsabili musulmani nella mattinata di lunedì, sulla spianata delle moschee. Il Nobel per la pace 2014, se gli verrà attribuito come sempre più invocato, sarà davvero meritato: Salam Francesco di Betlemme, Shalom Francesco di Gerusalemme!