Ricostruire il rapporto tra le persone per riaccendere la speranza

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DIALOGO RELIGIOSO: IL FUTURO È L’AMICIZIA

PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE – 23.1.2025

La testimonianza di François Vayne, giornalista

Ho accolto il vostro invito a testimoniare sul tema dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, ripensando a tutto ciò che ho ricevuto a questo riguardo nella Chiesa in Algeria quando ero giovane. Sono cresciuto dopo l’indipendenza dell’Algeria, in questo Paese nordafricano a maggioranza musulmana, accanto ai monaci di Tibhirine e a Pierre Claverie, vescovo di Orano, beatificati sei anni fa a Orano l’8 dicembre 2018. Ero presente alla loro beatificazione, alla beatificazione dei miei amici con cui ho mangiato, bevuto e pregato!

Sono molto onorato di essere in questa Università oggi, e un motivo è che in passato il beato Frère Christian de Chergé, il priore dei Monaci di Tibhirine, studiò qui a Palazzo Sant’Apollinare. Egli inviò il 20 giugno 1972, dal Monastero di Notre-Dame de l’Atlas a Tibhirine, la sua domanda di iscrizione all’IPEA/PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), che era a Palazzo Sant’Apollinare, ora sede della Pontificia Università della Santa Croce: durante gli studi, abitava a Monte Cistello all’EUR, non lontano dall’Abbazia delle Tre Fontane, luogo del martirio di San Paolo nel 67 d. C., sede di un’abbazia cistercense e della Chiesa di Santa Maria Scala Coeli[1]. Christian de Chergé frequentava anche la Chiesa di Sant’Agostino, in attesa di tornare a Tibhirine. Alcune finestre di Palazzo di Sant’Apollinare si affacciano verso la Chiesa di Sant’Agostino, che custodisce la tomba di Santa Monica, morta ad Ostia nel 387 e portata a Roma nel 1430, e numerosi quadri sulla vita di Agostino, il grande Padre e Dottore della Chiesa nato in Africa del Nord.

Si può immaginare l’importanza simbolica di questo luogo di culto verso questi santi algerini non solo per gli studenti che venivano dall’Algeria e dalla Tunisia, ma anche per tutti quelli impegnati nel dialogo interreligioso. Anche altri beati martiri d’Algeria vi studiarono, in tempi diversi[2]. Il Padre Maurice Borrmans, promotore del dialogo islamo-cristiano, era uno dei loro professori, docente di Corano, di arabo ed altre discipline, e poi divenne «l’amico fraterno» di Frère Christian.

Noi in Algeria vivevamo un dialogo religioso con i fratelli cristiani di altre confessioni, e con i non cristiani, cioè eravamo in un rapporto fraterno sotto lo sguardo di Dio. Vi invito, pertanto, a non parlare di dialogo «interreligioso», ma di dialogo religioso, un dialogo della fede basato sullo stesso senso di trascendenza e sull’amicizia reciproca degli uni per gli altri.

Mi ricordo che cristiani avventisti vivevano dall’altra parte della strada rispetto a casa mia ad Algeri e, da bambino, ho creduto a lungo che la parola «avventisti» significasse «vicini», tanto ciò che stavamo vivendo era nell’ordine del rapporto fraterno di vicinato. Allo stesso modo per i musulmani, ricordo che il Cardinal Léon-Etienne Duval, il nostro vescovo, ripeteva sempre: «Il futuro è nell’amicizia». Con il mio miglior amico musulmano, Samir, ci eravamo incisi i polsi a vicenda per mescolare il nostro sangue e diventare fratelli con questo patto!

Poi ho proseguito nello stesso spirito a Lourdes, per 26 anni, con dei volontari protestanti, i giovani di Taizé per esempio, che accompagnavano i malati – il servizio ai più deboli è sorgente di dialogo fecondo -, e con dei musulmani che venivano a invocare la Vergine Maria, che è l’unica donna citata per nome nel Corano (anche nel titolo della sura 19, rivelata a La Mecca, la Sura di Maria/Maryam, di 98 versetti).

Come giornalista ero presente ad Assisi il 27 ottobre 1986, avevo 24 anni, e la mia missione professionale è stata illuminata da questo incontro delle religioni voluto da San Giovanni Paolo II, e ripreso con nuovi stimoli da Papa Francesco con il Documento sulla Fratellanza Umana firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 con il Grande Imam di al-Azhar Ahmad el-Tayyeb.

Ora, da dodici anni al servizio della fraternità universale e della cultura della pace in Terra Santa, attraverso l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, perseguo lo stesso ideale di un dialogo di vita basato sull’amicizia. Ad esempio, l’ecumenismo si mette in pratica concretamente nella gestione dei Luoghi Santi, è segno di unità nella vita quotidiana, e nelle nostre scuole giovani cristiani e musulmani crescono insieme fino a diventare amici.

Vorrei indicarvi che vedo tre ostacoli per questo dialogo di amicizia sotto lo sguardo di Dio.

Prima di tutto, l’esclusivismo, il rischio che corre chi si crede detentore della verità, è il primo ostacolo contro il quale noi, comunicatori, dobbiamo combattere. Per noi, qui riuniti, la verità è Cristo ma Lui non si lascia ingabbiare e il Suo Spirito soffia dove vuole!

Poi l’orgoglio intellettuale degli «specialisti» è un secondo ostacolo, quando si dimentica di considerare l’amicizia come il cuore del dialogo, perché l’amicizia di cui parlo è l’essenza stessa del dialogo religioso e del rapporto che Dio stesso vuole creare con l’umanità!

Infine, il terzo ostacolo, ultimo ma non meno importante, è il clericalismo, quando un certo clero non permette il coinvolgimento dinamico e creativo dei laici… Quest’ultimo ostacolo è terribile, provoca grandi danni, soprattutto tra le Chiese orientali, ma non solo. C’è ancora molta strada da fare affinché il Concilio Vaticano II diventi pienamente una realtà e perché i battezzati siano veramente considerati per quello che sono: sacerdoti, profeti e re.

Mons. Paul Desfarges, Arcivescovo emerito di Algeri, scriveva in «Une Église dans la mangeoire» (Lettera pastorale «Una Chiesa nella mangiatoia») che “Questo dialogo della vita, che può diventare dialogo spirituale o dialogo teologico, non cerca di conquistare, ma cerca di conoscere meglio l’altro, per meglio amarlo e servirlo. Anche in caso di un rifiuto da parte dell’altro, l’amore continua ad amare e a volere il bene e la salvezza di chi si chiude”[3]. Come diceva il mio amico Pierre Claverie, avere la fede è mai disperare dell’amore!

Consolidare le relazioni è il modo tangibile e visibile di incarnare la fratellanza, perseverando nella preghiera e nella certezza che ognuno è un membro della famiglia umana amata da Dio, dove Gesù indica il cammino di una fratellanza oltre le frontiere.

Lo Spirito Santo invita i cristiani a non ripiegarsi su se stessi e a perseverare, rendendosi disponibili al Suo aiuto e alla Sua azione, e a rimanere aperti alla società civile, aiutando i più piccoli e in difficoltà, con i quali Gesù si identifica chiamandoli sui fratelli (Mt 25,40).

Le cinque attitudini da adottare quotidianamente secondo il priore dei monaci di Tibhirine, Frère Christian de Chergé, affinché ci sia una pace duratura sono: la pazienza, la povertà, la presenza, la preghiera e il perdono. La nostra attitudine interiore trasforma lo sguardo e le azioni. La fratellanza va riscoperta anche all’interno delle religioni, anche per integrare le diversità interne.

In conclusione, vi dico che questo percorso sulle vette, come tante altre scelte e posizioni di apertura, incontro e rispetto, è difficile e me lo ricorda il fatto di essere stato additato come un «giornalista idiota» in un sito fondamentalista cattolico (ammetto che è un onore che queste persone mi stanno facendo, senza saperlo). I mediatori sono spesso sacrificati, pensiamo a Padre Paolo Dall’Oglio e a tanti altri, ma noi, come comunicatori, non possiamo scegliere un’altra strada. Il Cardinal Pierbattista Pizzaballa mi ha chiesto di dirvi che ci chiama ad inventare un nuovo linguaggio per parlare di pace, per ricostruire il rapporto tra le persone e le comunità e per riaccendere la speranza.

Abbiamo un grande progetto davanti a noi, ed è quello del dialogo cuore a cuore, da persona a persona, valorizzando i piccoli passi sul campo piuttosto che i grandi discorsi vuoti. Per fare questo, dobbiamo andare verso l’altro zoppicando, come Giacobbe verso il fratello maggiore Esaù nella Bibbia, per essere operatori di riconciliazione, operatori di unità, con delicatezza e umiltà.

Grazie per l’attenzione.

François Vayne

[1]Questa deve il suo nome ad una visione, avuta da San Bernardo di Chiaravalle nel 1138: la Madre di Dio accoglieva le anime dei defunti che salivano dall’inferno verso cielo grazie ad una scala, aiutati da alcuni angeli. Sugli altari laterali sono raffigurate La visione di San Bernardo e L’Annunciazione; nella cripta sotterranea vi è una finestra che si apre sui pochi resti di un antico cimitero cristiano, luogo del martirio di Zenone e compagni, e ultima prigione di San Paolo prima della sua decapitazione.Christian de Chergé arrivò a Roma nell’ottobre del 1972 all’IPEA per seguire due anni di studi approfonditi in studi arabi e islamici: al termine del primo anno (1972-1973) egli conseguì il Certificat de Grammaire Arabe, e quello successivo (1973-1974) il Diplôme d’Etudes Arabes. Si veda: PASSALACQUA, LIVIA, «Christian de Chergé e le Journées Romaines del 1989: storia di una corrispondenza romano-algerina», Islamochristiana46 (2020) 177-196.

[2]Ricordiamo P. Christian Chessel, Sr Odette Prévost, Sr Esther Paniagua Alonso,i padri bianchi Jean Chevillard, Charles Deckers e Alain Dieulangard.

 

[3]«Ce dialogue de la vie qui peut devenir dialogue spirituel ou dialogue théologique ne cherche pas à conquérir, il cherche à mieux connaître l’autre pour mieux l’aimer et le servir. Même en cas de refus de l’autre, l’amour continue d’aimer et de vouloir le bien et le salut de celui qui se ferme».

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